Центральный Дом Знаний - Alessandro Magno 1

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Alessandro Magno 1

Dopo la vittoria nei Balcani, tuttavia, si sparse la voce che Alessandro fosse rimasto ucciso in battaglia e questa notizia provocò una nuova ribellione delle πόλεις (poleis), probabilmente alimentata dai Persiani  e dai Tebani che, dopo anni di esilio, approfittarono della situazione e tornarono in patria. Vi erano stati disordini anche altrove; ad Atene vennero uccisi Timolao e Anemeta, i capi del partito filo-macedone.

Con una marcia rapidissima di più di 200 chilometri, percorsi in quattordici giorni,  Alessandro raggiunse Tebe e la circondò. A questo punto vi sono due versioni dello scontro: nella prima il condottiero era in difficoltà fino a quando non notò un'entrata alla città lasciata senza protezione, al che ordinò al comandante del battaglione Perdicca di penetrarvi; l'altra versione, raccontata da Tolomeo, probabilmente volto a calunniare il suo rivale, vedeva un attacco senza ordine da parte dello stesso Perdicca, nel quale quest'ultimo fu gravemente ferito. 

In ogni caso l'esercito macedone travolse ogni fortificazione, radendola al suolo, risparmiando solamente i templi e la casa del poeta Pindaro. Al termine degli scontri si arrivò a contare circa 6.000 morti, fra cui molti arcieri cretesi con il loro comandate Euribote.  Alessandro ottenne così la sottomissione completa delle città greche, eccetto Sparta.

Atene fu risparmiata da assedi vari, chiedendo solo che venissero consegnati ai Macedoni i personaggi a loro più avversi, ma alla fine delle trattative soltanto il generale Caridemo venne esiliato; questi, non sentendosi cittadino greco, si alleò con la Persia e Dario  e come lui altri nemici di Alessandro, mentre Carete si recò a Sigeo, nei suoi possedimenti. Al termine degli eventi, alla fine di ottobre, ritornò in Macedonia.

Discussa dagli storici è la visita di Alessandro all'oracolo di Delfi prima della partenza: secondo quanto si racconta, il macedone si recò presso il tempio per interpellarlo, ma era il periodo in cui non poteva essere consultato; per cui, di persona, costrinse la sacerdotessa a venire al tempio portandovela con la forza e proprio in quell'occasione ella affermò che il nuovo re «era invincibile».  

La prima spedizione greco-macedone inviata da Filippo II in Asia Minore, al comando del generale Parmenione, era stata respinta sulla costa dall'esercito persiano; quest'ultimo era comandato dal generale rodio Memnone (e prima di lui da Mentore), che occupò la città di Abido, dove sarebbero dovuti sbarcare i Macedoni.

Nella primavera del 334 a.C. Alessandro, dopo aver consolidato la sua posizione in Grecia e dopo aver lasciato Antipatro come suo rappresentante in patria, sbarcò in Asia Minore con un esercito di circa 40.000 uomini, di cui 32.000 fanti; nella cavalleria poteva contare su 1200 tessali e 1800 hetaîroi ("compagni" del re), tutti al comando di Parmenione. Il nucleo principale era formato dall'esercito macedone, rafforzato dagli scarsi contingenti provenienti dalle città greche.

Dopo aver attraversato le coste della Tracia arrivò in circa venti giorni ai Dardanelli;  a Sesto venne raggiunto da 160-170 navi alleate (successivamente affidate a Nicanore) con le quali raggiunse la riva opposta, non temendo la flotta nemica che era occupata a tenere a bada le coste egiziane (infatti nel gennaio del 335 a.C. era morto il re ribelle egiziano e una parte della flotta lì impegnata non poté intervenire per fermare i Macedoni). Fece dunque visita, come buon augurio, a quella che si riteneva fosse la tomba di Protesilao  e vi compì un rituale: si mise alla guida di una trireme, si allontanò dalla costa, sacrificò un toro e altro, tornò e, prima di giungere sulla riva, indossò la propria armatura; una volta sbarcato prese la sua lancia e la scagliò in terra proclamandosi come conquistatore dell'impero persiano. 

Il numero di fanti e cavalieri al seguito di Alessandro sono discordanti sin dalle prime fonti: 

  • Tolomeo I: 30.000 fanti e 3.000 cavalieri

  • Aristobulo: 30.000 fanti e 4.000 cavalieri

  • Anassimene di Lampsaco: 43.000 fanti e 5.500 cavalieri

  • Callistene: 40.000 fanti e 4.500 cavalieri

Memnone, che non era persiano di nascita ma greco e che aveva sposato una donna persiana, davanti alle truppe macedoni appena sbarcate sosteneva la tattica della terra bruciata, ma i satrapipersiani non vollero lasciare i propri territori al nemico,  preferendo scontrarsi subito con l'esercito invasore. Cercò allora di radunare i 20.000 mercenari greci su cui poteva contare,  ma, dovendo difendere anche Alicarnasso e Mileto, raccolse soltanto una parte di essi; circa 5.000 unità furono inoltre inviate, per ordine dello stesso Dario, a Cizico, luogo importante per via delle loro monete. 

Nel maggio dello stesso anno, presso il fiume Granico, vicino al sito della leggendaria Troia (sulla strada da Abido a Dascylium, vicino all'odierna Ergili), si svolse il primo scontro. Contro Alessandro, oltre a Memnone, Spitridate della Lidia, Atizie e Arsite della Frigia e Mitrobarzane dalla Cappadocia, vi erano Reomitre, Mitridate e Resace.

Parmenione ebbe il comando dell'intera ala sinistra a cui era stata affidata la difesa. Altri uomini al servizio del conquistatore furono Filota, Ceno, Perdicca, Cratero, Meleagro. Clito il Nero (fu chiamato il Nero per distinguerlo da Clito il Bianco, altra figura al comando di parte della fanteria), figura come la guardia del corpo.

Dopo molto tempo trascorso ad osservarsi, in quanto i Persiani attendevano che fossero i Macedoni i primi ad attaccare,  alle prime luci dell'alba fu proprio Alessandro (riconosciuto per il caratteristico pennacchio dell'elmo)  ad iniziare le ostilità. L'armata macedone si scagliò sui Persiani.

La tattica di Alessandro era chiara: aprire dei varchi nella fanteria nemica, lasciando poi spazio alla cavalleria per spezzare l'esercito persiano (che era disposto lungo le ripide rive del fiume) e permettendo così alla falange macedone di caricare con le sarisse e porre fine alla battaglia. Alessandro stesso condusse parte dell'attacco avanzando in obliquo, distraendo gli avversari, ma fu oggetto di attacchi cruenti.

Dopo aver rotto una prima lancia e ottenuta dai propri fidi un'altra, il macedone si scontrò prima con Mitridate, che venne colpito in volto e sconfitto, per poi essere colto di sorpresa dal fratello di Spitridate, Resace. Questi lo colpì in testa rompendogli l'elmo e ferendolo; Alessandro reagì e dopo essersi procurato una nuova lancia colpì l'avversario al petto.  Arrivò un terzo avversario, Spitridate, armato di spada, ma, grazie all'intervento di Clito il nero, il re macedone ebbe salva la vita. 

La battaglia si era finalmente risolta in uno scontro tra cavallerie, nel quale quella macedone ebbe la meglio, mettendo in fuga la controparte nemica. Senza molti dei loro comandanti i Persiani si sentirono persi e vennero rapidamente sconfitti; molti furono i morti fra cui Spitridate, Mitrobarzane, Farnace, il cognato di Dario, Arbupalo, Nifate, Petine e Omare dei mercenari. In quella battaglia i morti persiani furono migliaia mentre quelli macedoni si contavano: 25 fra gli eteri, 60 nella cavalleria e circa 30 nella fanteria. 

Solo 2.000 dei 20.000 mercenari greci agli ordini di Memnone furono risparmiati e mandati ai lavori forzati nelle miniere del Pangeo, in quanto essendo greci erano andati contro le leggi degli alleati.  Alessandro nel trattare le spoglie nemiche fu diplomatico, inviando 300 armature ad Atene con un messaggio che ricordava: «Alessandro, figlio di Filippo, e i Greci, eccetto gli Spartani, dedicano queste spoglie tolte ai barbari che vivono in Asia»; in questo modo dimostrò umiltà e rispetto. Le armature furono un ovvio riferimento ai 300 guerrieri spartani che nel 480 a.C. morirono con il re Leonida al passo delle Termopili.

Il conquistatore diede grandi onori ai caduti, esentando da tasse genitori e figli dei combattenti defunti più fedeli. Arsite riuscì a salvarsi, ma sentendosi in colpa per l'accaduto si suicidò.  Dopo la vittoria, Alessandro diede ordine di non saccheggiare la terra conquistata e ai persiani vinti concesse il pagamento dello stesso tributo che prima pagavano. Parmenione, nel frattempo, prese Dascilio. 

L'avanzata di Alessandro trovò solo la città di Mileto ad opporgli fiera resistenza: pur avendo anche loro inviato in precedenza ai Macedoni una lettera di resa, cambiarono idea non appena vennero a conoscenza dell'arrivo imminente di una flotta amica in loro sostegno. Alessandro occupò quindi il porto, cercando di impedirne l'entrata alle 400 navi nemiche che stavano per giungere,  e assaltò le mura, iniziando l'assedio. Dopo tre giorni giunsero i rinforzi ma non venne permesso loro di attraccare: ciò fu possibile grazie allo sforzo di Nicanore e dei suoi soldati che, stanziando nei pressi dell'isola di Lade, controllavano il porto.

Si dice che a questo punto Parmenione suggerì di attaccare la flotta nemica, avendo notato buoni auspici per la vittoria in mare (un'aquila che si era poggiata sulla spiaggia vicino alle loro imbarcazioni); Alessandro, tuttavia, gli rispose che aveva male interpretato i segni e che la vittoria sarebbe venuta per terra, in quanto il volatile si era poggiato sul suolo.  I Macedoni sconfissero gli avversari e reclutarono trecento uomini nemici nel loro esercito (questo reclutamento fece arrendere i combattenti nemici più valorosi).

Contro la città di Sardi bastò un accordo con il suo capo, Mitrine, che accolse Alessandro come fosse un amico; il re macedone permise ai cittadini del luogo di continuare a regolarsi con le leggi già in uso e concesse inoltre ulteriori privilegi.  Raggiunse Efeso, dove i mercenari nemici impauriti erano precedentemente fuggiti, e la occupò instaurando una democrazia al posto della precedenteoligarchia, come era avvenuto nelle altre città conquistate.  La città entrò a far parte della Lega di Corinto. Questa sua politica gli portò molti consensi e rese spontanea la resa di altre città. Tutte le πόλεις (poleis) della costa salutarono il macedone come il liberatore. 

Il governo della Caria fu affidato ad Ada, ultima sorella di Mausolo e di Pixodaro (colui che anni prima aveva progettato un matrimonio fra sua figlia e uno dei figli di Filippo).  La donna chiese udienza al conquistatore, lasciando Alinda (luogo dove aveva trovato rifugio) per incontrarlo; nel parlargli lo denominò figlio. 

Mentre il grosso dell'esercito svernava in Lidia (terra poi concessa ad Asandro) al comando di Parmenione, Alessandro passò in Licia, in Panfilia, in Pisidia e in Frigia; quest'ultima venne concessa al comandante della cavalleria tessalica (Calate) e in sua sostituzione Alessandro nominò nuovo comandante della cavalleria Alessandro Linceste, scelta poi rivelatasi infausta.

L'intento di Alessandro era quello di conquistare tutte le città costiere impedendo l'attracco alle navi nemiche; nel frattempo si ebbe la notizia della morte di un figlio di Dario, ucciso per ordine dello stesso padre in quanto era in procinto di tradirlo. 

Si trovò di fronte ad Alicarnasso, una roccaforte dove si era rifugiato Memnone per aiutare la flotta persiana disposta nelle acque vicine; la città era provvista di un grande fossato e disponeva di scorte sufficienti a resistere ad un eventuale lungo assedio. In questa battaglia il macedone utilizzò le macchine che lanciavano pietre per difesa e non per attaccare le mura.

Alessandro attaccò quindi una torre, nella vana speranza che il suo crollo coinvolgesse parte delle mura; ma alla caduta della prima non conseguì la caduta della seconda. Si concentrò allora su un'altra zona, colmando prima il fossato e poi attaccando con le sue macchine, senza grossi esiti. In quell'occasione morì Neottolemo, fratello di Aminta di Arrabeo, insieme a circa 170 soldati, mentre meno di venti (16) furono le vittime fra i macedoni, e 300 i feriti. 

I Persiani resistettero ad altri assalti grazie al fuoco che bruciò un'elepoli dei greci.

Furono allora mandati duemila uomini persiani, mille dei quali armati di fiaccole con l'obiettivo di incendiare ogni macchina nemica, mentre gli altri mille dovevano attaccare di sorpresa i Macedoni nel momento in cui sarebbero stati impegnati a spegnere i vari incendi. La loro azione non colse impreparati gli uomini di Alessandro, che fecero strage dei nemici; del secondo contingente si occupò Tolomeo. I soldati persiani rimasti in vita cercarono di tornare nella città, ma, temendo che anche gli invasori entrassero con loro, venne chiuso il cancello e il ponte stesso non resse al peso. Si contarono 1.500 morti per i Persiani e 40 dei Macedoni, fra cui il capo degli arcieri Clearco. 

Diodoro differisce totalmente da questa versione (narrata fra gli altri da Arriano-Tolomeo); secondo l'autore, soltanto all'inizio stavano avendo la meglio i Macedoni, guidati fra gli altri probabilmente dai battaglioni di Addeo e Timandro, ma di fronte al secondo assalto molti dei greci si spaventarono e la paura aumentò ancora di più all'ingresso dello stesso Memnone, il cui esercito ammutolì per un attimo lo stesso Alessandro. Soltanto grazie ai veterani, al cui comando si pose Atarrias, che spronò i più giovani e inesperti, riuscirono a sconfiggere l'esercito nemico uccidendo Efialte, uno dei comandanti nemici. Si riportano anche i nomi dei generali nemici, gli stessi Efialte e Trasibulo, che tempo prima vivevano ad Atene e di cui Alessandro chiese la consegna, ma a cui fu dato la possibilità dell'esilio e quindi di allearsi con Dario. In ogni caso la resistenza non superò i due mesi. 

La città venne incendiata dai Persiani,  mentre il generale nemico Memnone fuggì rifugiandosi temporaneamente sull'isola di Cos. Il re macedone, entrato nella città, ordinò di uccidere chiunque avesse appiccato il fuoco e quando si rese conto dei danni che aveva subito la fece distruggere completamente. 

Alessandro lasciò Orontobate, che si era rifugiato nella roccaforte di Salmacide, dando incarico a due dei suoi uomini più fidati (Tolomeo di Filippo e Asandro) di conquistare le restanti città della regione, lasciando a loro parte dell'esercito (3.000 fanti e 200 cavalieri). Nel frattempo il re macedone avrebbe proseguito la sua conquista dell'Impero Persiano. 

A questo punto il re macedone diede il congedo a tutti i militari che si erano sposati poco prima di partire per la spedizione  e inviò parte del suo esercito a Perge, mentre lui continuava il suo percorso costiero. Dopo un evento fortuito (il vento cambiò al suo passare rendendo agevole il passaggio in una zona altrimenti impervia)  riscosse molti consensi e contributi da parte dei suoi uomini che subito convertì in paghe per i soldati.

Alessandro viaggiò per Termesso, Aspendo e Faselide. Nel frattempo arrivò da Parmenione Sisine, un messaggero persiano inviato da Dario III col proposito di persuadere Alessandro di Lincestide a uccidere il proprio re; se quest'ultimo avesse accettato la proposta avrebbe ricevuto un premio di duemila talenti d'oro (a cui si aggiungeva la corona stessa). Il generale dunque, ritenendo rischioso comunicare la risposta per iscritto, inviò ai persiani un messaggero travestito, evitando così ogni possibile pericolo di intercettazione, per chiedere come avrebbe dovuto agire. 

Gli storici non concordano con questo passo per via della presenza di tanti punti oscuri. Anche la sorte di Alessandro di Lincestide viene raccontata in vari modi: Tolomeo dopo la sua cattura non citerà più il suo nome; forse fu ucciso per un tradimento quattro anni dopo le vicende narrate, oppure, come racconta Aristobulo, egli morì addirittura prima della partenza per la conquista dell'Asia, ucciso da una donna a cui chiese del denaro. Dati certi riportano però l'esistenza di un comandante dei Traci con tale nome, sia all'epoca di Tebe sia in Asia.

Altri resoconti identificano Sisine come uomo di fiducia del re macedone, che gli rimase fedele sino a poco prima della battaglia di Isso, quando gli venne commissionato l'omicidio di Alessandro; scoperto, per ordine del re, Sisine venne poi ucciso dagli arcieri. 

Dopo aver fatto dono al veterano Antigono Monoftalmo di un ampio territorio, Alessandro giunse nell'antica capitale Gordio, dove si svolse l'episodio del celebre nodo gordiano: pare che esistesse un antico carro il cui giogo era assicurato da un nodo inestricabile e che un oracolo avesse promesso il dominio dell'Asia a chi fosse riuscito a scioglierlo. Il macedone, dopo alcuni tentativi, risolse il problema estraendo la spada e tagliando il nodo con un colpo netto.  Diversamente Aristobulo afferma che fu facile per il re sciogliere quel nodo, senza l'utilizzo della propria spada. 

A Gordio, nel maggio del 333 a.C., Alessandro aspettò che Parmenione lo raggiungesse insieme alle sue truppe, cui si aggiunsero 4.000 soldati (di cui 3.000 erano Macedoni).  Riuscì a far avere ad Antipatro 500 talenti e 600 ne donò ad Anfotero, per rinforzare la flotta greca, rispettando l'alleanza. 

In seguito Memnone, dopo aver conquistato Chio e le città di Lesbo (Mitilene non riuscì mai a conquistarla), tentò di preparare trecento navi con cui partire per invadere Eubea e Attica,  ma si ammalò e morì. La sua azione di resistenza fu proseguita da un suo parente, Farnabazo, aiutato da Autofradate. I due ottennero piccole vittorie (fra cui la conquista di Mitilene,  Mileto e Tenedo) alternate ad altrettante piccole sconfitte, ma il numero dei loro soldati non impensieriva Alessandro.

Alessandro nel giugno del 333 a.C. entrò nella Cilicia e scese in una radura descritta tempo prima da Senofonte, arrivando dopo molte miglia a Tarso. Nel frattempo Dario III, a Susa, venuto a conoscenza della morte del suo più celebre generale, convocò il consiglio di guerra; Caridemo chiese di essere posto al comando di un esercito di 100.000 uomini, ma l'imperatore persiano decise di muoversi personalmente a partire da luglio. Verso la fine di agosto o l'inizio di settembre partì. Le cifre dell'esercito persiano non sono riportate correttamente da nessun cronista storico del tempo: erano 600.000 secondo Arriano e Plutarco,  400.000 fanti a cui si sommano 100.000 cavalieri secondo Giustino e Diodoro, mentre Callistene e Curzio Rufo riferiscono solo di 30.000 mercenari greci; altri riportano che il contingente schierato fu di 160.000 unità.

In ogni caso Dario aveva radunato un'armata numerosa, tre o quattro volte superiore a quella macedone. I Persiani si schierarono nella pianura all'uscita dei passi montani delle porte siriache, trovando una buona posizione strategica a Sochi.

Nel frattempo Alessandro fu colpito da una malattia, forse per aver nuotato nel Cidno. Colui che lo curava, Filippo di Acarnania, voleva in realtà ucciderlo, ma il re ne fu informato da Parmenione. Il re guarì verso la fine di settembre. Successivamente passò per Anchialo, dove una trascrizione diceva che questa città e quella di Tarso furono costruite in un giorno e, dopo la conquista di Soli, corse a Mallo, dove era in atto una guerra civile che fece terminare; qui venne a conoscenza che Dario era posizionato a Sochi e decise quindi di affrontarlo.

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