Центральный Дом Знаний - Alessandro Magno 4

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Alessandro Magno 4

L'agire di Spitamene non fu inizialmente chiaro ad Alessandro che pensava volesse arrendersi, mentre voleva invece solo disfarsi di un alleato poco affidabile.

La sorte di Parmenione e dei suoi figli:

(EN)

« What I like in Alexander the Great is not this campaigns...but his political methods...He was right in ordering the murder of Parmenion, who like a fool objected to Alexander's giving up Greek customs »

(IT)

« Cosa mi piace in Alessandro il grande non è la sua campagna militare ma la sua politica. Fece bene a far uccidere Parmenione che era uno stupido che considerava sbagliato abbandonare le usanze greche »

(Napoleone Buonaparte, durante l'esilio sull'isola di Sant'Elena Traduzione in parte di Guido Paduano, contenuta nel testo Alessandro Magno di Robin Lane Fox, pag 295)

Quando le truppe di Alessandro trovarono riposo a Farah, si notò lo strano comportamento di Parmenione che non ubbidiva più agli ordini; l'ultimo datogli, quello di raggiungere il re con i suoi 25.000 uomini, venne ignorato (a quel tempo il re poteva contare su una forza di poco maggiore).  I figli di Parmenione ricoprivano ruoli di prestigio all'interno dell'esercito macedone, ma Nicanore morì di malattia nel mese di ottobre del 330 a.C. mentre Filota, comandante della cavalleria, fu testimone di un complotto contro il re; alcuni resoconti riportano il macedone Dimno (o Dymno) che, venuto a conoscenza dei preparativi dell'attentato contro Alessandro, raccontò il tutto al suo amante Nicomaco.  Quest'ultimo rivelò, a sua volta, l'esistenza del complotto al fratello Cebalino, il quale lo riferì, tre giorni prima dell'attentato, a Filota. Passarono i primi due giorni senza che l'ufficiale avesse raccontato nulla al suo re, anche se più volte al giorno ne avesse avuto la possibilità. Cebalino, preoccupato, raccontò ad un'altra persona dell'attentato, la quale corse subito da Alessandro.

Il re macedone fece convocare Dimno che preferì uccidersi; l'unico dato certo allora era che Filota sapeva dell'intrigo e non ne aveva parlato con lui. Seguendo il consiglio di Cratero, durante la notte il colpevole fu sorpreso nella sua tenda, catturato e messo in catene. Differisce da questo, solo inizialmente, il racconto di Plutarco: secondo l'autore era Limno di Calestra colui che disse al suo amato Nicomaco (e fratello di Cebalino) del complotto, ma solo perché sperava che anche lui ne facesse parte come Limno stesso; inoltre Filota era da tempo controllato da una donna, Antigone. Dimno è citato da Curzio Rufo e Diodoro Siculo. 

Alessandro, in Egitto, non aveva dato retta alle insinuazioni di un coinvolgimento dello stesso Filota in un complotto ordito contro di lui,  ma questa volta fu condannato per alto tradimento dal tribunale dell'esercito  e ucciso con i complici a colpi di lancia;  secondo altri venne prima torturato e solo al momento della confessione venne ucciso.  Qualcuno riferisce anche che avesse fatto il nome del vero cospiratore, un certo Egeloco, morto poco prima.

Il re macedone non si riteneva ancora soddisfatto e cercò altri possibili traditori fra gli amici di Filota; uno di essi fuggì rapidamente e i suoi fratelli vennero arrestati (ma seppero difendersi a parole fino a scagionarsi), mentre il prigioniero Alessandro di Lincestide venne condannato a morte. Alla condanna scampò invece Demetrio, una sua guardia del corpo.

Alessandro venuto forse a conoscenza di una lettera scritta da Parmenione ai suoi figli, dove riferiva di oscuri piani,  lo fece uccidere da alcuni suoi stessi ufficiali.  La stessa sorte toccò al terzo figlio di Parmenione, per prevenirne una possibile ribellione; Alessandro era infatti preoccupato da una probabile unione tra i soldati di Clito e quelli fedeli a Parmenione, la quale avrebbe portato alla formazione di un esercito numericamente superiore al suo. Vi erano ancora dei simpatizzanti del generale: questi vennero radunati in una piccola unità che combatté con coraggio,  mentre gli eteri, comandati in precedenza da Filota, vennero affidati ad Efestione e a Clito. Prima di lasciare la città di Farah, Alessandro decise di cambiarle nome, chiamandola Proftasia (Anticipo).

Alessandro era intento a combattere il suo ultimo avversario persiano degno di nota, Spitamene, ma non fu facile, in quanto questi riuscì a mettere contro i macedoni buona parte della nobiltà dellaSogdiana. Il re macedone, all'altezza del fiume Syr Darya, aveva lasciato alcuni contingenti nelle varie fortezze (sette in tutto) che dovevano proteggere i confini al nord. Trascorse un breve periodo prima che tutte le truppe vennero massacrate e gli avamposti conquistati. 

In pochi giorni Alessandro riuscì a riconquistare tutte le fortezze,  rendendo schiavi i sopravvissuti nemici. Solo contro Ciropoli, la più imponente, ebbe difficoltà; inizialmente venne soltanto isolata e messa sotto assedio da Cratero  per impedire il sopraggiungere di eventuali rinforzi nemici, ma quando cominciò l'attacco venne notato un passaggio fortuito: un corso d'acqua prosciugato che passava sotto le mura. I Macedoni riuscirono così a penetrare nella fortezza e aprirono le porte agli assalitori. Alcuni resoconti riportano che durante questa azione Alessandro fu colpito in testa e al collo da un lancio di una pietra.

Successivamente la tattica di Spitamene apparve chiara: attaccare la parte dell'impero rimasta scoperta dall'assenza di Alessandro. Attaccò così Samarcanda e il re macedone inviò circa 2.300 mercenari con a capo Farnuce, restando con circa 25.000 uomini. I Macedoni dovettero affrontare gli Sciti che si trovavano sul lato opposto del fiume, dapprima con l'uso di catapulte (armi mai viste da questo popolo); impauriti dalla morte di un loro generale, gli Sciti cominciarono ad eseguire una ritirata ma i soldati di Alessandro attraversarono il fiume. Parte degli uomoni nemici, cavalieri senza armatura o quasi, iniziarono un accerchiamento ai danni dei Macedoni, colpendoli ripetutamente con le frecce, ma furono vittime di un inganno di Alessandro, il quale aveva inviato contro di loro un'avanguardia debole e quando essi furono circondati li assalì con un contingente più forte. I nemici fuggirono ma i macedoni, forse per avere ingerito dell'acqua malsana, non riuscirono ad inseguirli. 

Nel frattempo tutti i soldati inviati in precedenza da Alessandro vennero attaccati su un'isola del fiume Zeravshan e uccisi sino all'ultimo uomo da un'azione guidata direttamente da Spitamene. Alessandro, venuto a conoscenza dell'accaduto, in tre giorni con 7.000 uomini al seguito cercò di raggiungere il nemico senza riuscirci; ormai il numero dei soldati era sceso a circa 25.000.  Gli vennero in aiuto altri 21.600 uomini provenienti dalla Grecia, guidati da Asandro e Nearco. 

Alessandro lasciò una parte dei soldati a Cratero ma le incursioni di Spitamene continuarono, fino a quando quest'ultimo non subì una prima sconfitta a Ceno. Tradito subito dopo dai suoi alleati, fu offerta al re macedone la sua testa; Alessandro gli rese gli onori facendo in modo che il generale Seleuco sposasse sua figlia. 

Il proposito di Alessandro di unificare in un solo popolo Greci e Persiani e soprattutto la sua idea di dare un carattere divino alla monarchia, cominciarono ad alienargli le simpatie del suo seguito. L'opposizione si manifestò soprattutto quando decise di imporre il cerimoniale della proskýnesis, tipico della corte persiana, ai suoi sudditi occidentali; la cerimonia prevedeva che chiunque comparisse davanti al re si prosternasse davanti a lui per poi rialzarsi e ricevere il bacio e ciò andava contro l'idea greca di omaggio accettabile da parte di un uomo libero ad un altro uomo. Alessandro dovette comunque abbandonare il tentativo di introdurre tale pratica (che comunque non aveva reso obbligatoria), dato che quasi tutti i Greci e i Macedoni si rifiutavano di eseguirla.

A Samarcanda nel 328 a.C., Alessandro, durante una serata di festeggiamento con i suoi generali e ufficiali, accolse alcuni uomini giunti dalla costa, venuti ad offrire della frutta al loro signore. Il re incaricò Clito il Nero di portarli dinnanzi al suo cospetto e per incontrarli dovette sospendere un sacrificio in atto, cosa mal vista dagli indovini. In seguito, durante il banchetto si ascoltarono i versi di un poeta di corte, un certo Pranico, che schernì i generali.  Clito, in stato di ebbrezza, si offese più degli altri, ricordando al re di avergli salvato la vita tempo addietro (nella battaglia del Granico). Seguirono parole dure da entrambe le parti; il generale criticava aspramente la politica di integrazione fra Macedoni e Persiani perseguita da Alessandro e lo definì non all'altezza di suo padre Filippo, il vero Macedone. Il re dopo aver parlato con Artemio di Colofone e Senodo di Cardia gli lanciò contro una mela cercando subito dopo una lama,  arma subito sottratta da Aristofane. Alessandro prese poi a pugni colui che aveva rifiutato di suonare la tromba mentre gli amici di Clito cercavano di allontanarlo. Il peggio avvenne quando Clito ritornò citando dei versi di Euripide,  dove ricordava che il merito delle vittorie in battaglia era dei soldati, cosa che i capi dimenticavano.  Al sentire quelle parole Alessandro prese una lancia e lo trafisse, uccidendolo.

Nel 327 a.C. fu scoperta una congiura tra i paggi del re, che furono tutti condannati a morte e giustiziati. Ne fece le spese anche Callistene, nipote di Aristotele e storiografo di corte, strenuo oppositore della cerimonia della proskýnesis e maestro dei paggi, che venne tenuto prigioniero e poi giustiziato, alienando ad Alessandro molte simpatie del mondo intellettuale e filosofico greco.

Alessandro, dopo aver assoggettato la regione della Sogdiana, giunse ai confini dell'odierno Turkestan cinese, dove fondò un'altra Alessandria, che chiamòEschate (Ultima), l'odierna Chodjend. Soggiornò ancora a Samarcanda e nella Bactriana. Sposò Rossane, figlia di un comandante della regione, per rafforzare il suo potere in quei territori.  

Come continuatore dell'impero achemenide, Alessandro vagheggiava un impero universale e si proponeva forse di arrivare con le sue conquiste fino al limite orientale delle terre emerse. Gran parte dell'India nord-occidentale era stata sottomessa dai persiani al tempo di Dario I, il quale fece esplorare l'intera valle dell'Indo, ma in questo periodo la regione era suddivisa in vari regni in lotta tra loro.

Dopo aver preparato un nuovo esercito, con truppe in gran parte asiatiche (solo gli ufficiali e i comandanti erano tutti greci o macedoni), nella primavera del 326 a.C. Alessandro marciò verso l'odierna Kabul, dove venne accolto come alleato dal re di Taxila e, attraversata l'Uḍḍiyana da Ora a Bazira (attuali Udegram e Barikot), giunse all'Indo nell'estate del 326 a.C. Sconfisse nella battaglia dell'Idaspe il re indiano Poro (Purushotthama o Paurava), in una battaglia dura e sanguinosa, e fondò due città, Nicaea (odierna Mong o Mung) e Bucefala (oggi Jehlum), quest'ultima in onore del suo cavallo Bucefalo, morto durante la battaglia.

Alessandro aveva forse intenzione di arrivare fino alla vallata del Gange, ma l'armata macedone giunta sul fiume Ifasi (oggi Beas), stanca dell'idea di proseguire una lunga campagna contro i potenti indiani (il Regno Magadha stava attrezzando un potente esercito di centinaia di migliaia di soldati e migliaia di elefanti che spaventava i macedoni) fra giungle monsoniche, febbri malariche ed elefanti da guerra, si rifiutò di seguirlo oltre verso est. 

Alessandro seguì quindi la valle dell'Indo fino alla sua foce, dove sorgeva la città di Pattala. Da qui spedì una parte dell'esercito, al comando di Cratero, verso l'Afghanistan meridionale, mentre egli seguì la costa attraversando la regione desertica della Gedrosia (attuale Makran nel Pakistan e nell'Iran meridionale). La discesa del corso dell'Indo fu accompagnata da una dura lotta, combattuta con inaudita ferocia, contro la guerriglia che ostacolava la marcia dell'esercito macedone. Nell'assalto alla rocca di Aorno (odierna Pir Sar, Pakistan) una freccia colpì Alessandro, trapassando la corazza della sua armatura (e con essa anche la pleura ed un polmone); il condottiero scampò di poco alla morte.

Inviò inoltre una flotta, al comando del cretese Nearco, ad esplorare le coste del Golfo Persico sino alle foci del Tigri. La descrizione dei luoghi e dei popoli incontrati (tra cui gli Ittiofagi) fatta da Nearco ci è nota grazie soprattutto all'inserimento del suo diario negli Indikà ("Resoconti dell'India") di Arriano.

Nel 324 a.C. Alessandro giunse nuovamente a Susa, dove venne a conoscenza della cattiva amministrazione messa in atto dai satrapi da lui un tempo graziati; fece procedere immediatamente ed energicamente contro i colpevoli, sostituendone molti con governatori macedoni.

Per perseguire il suo progetto di unione tra Greci e Persiani, il re spinse ottanta alti ufficiali del suo esercito alle nozze con nobili persiane e altri diecimila veterani macedoni si sposarono con donne della regione. Egli stesso sposò Statira, figlia di Dario III, mentre un'altra figlia del re persiano, Dripetide, andò in sposa al suo amico Efestione. 

Passò per la prima volta in rassegna il nuovo corpo militare di 30.000 giovani Persiani, accuratamente scelti ed addestrati per formare una falange macedone. Diecimila veterani furono congedati e rimandati in Macedonia con Cratero, quest'ultimo incaricato di sostituire Antipatro che era venuto in contrasto con la madre di Alessandro, Olimpiade; Antipatro dovette recarsi in Asia con nuove reclute.

Durante l'inverno il re si ritirò ad Ecbàtana seguendo l'usanza della corte persiana. Qui morì Efestione, per il quale Alessandro soffrì terribilmente: rase al suolo un vicino villaggio, passando alla spada tutti i suoi abitanti come "sacrificio" nei confronti dell'amico e rimase a lutto per sei mesi; inoltre progettò un grandioso monumento funerario mai finito.

Nella primavera del 323 a.C. Alessandro condusse una spedizione contro il popolo montanaro dei Cossei ed inviò una spedizione per esplorare le coste delMar Caspio.

Durante i preparativi di invasione dell'Arabia e la costruzione di una flotta con cui intendeva attaccare i domini cartaginesi, venne colpito da una malattia che lo portò alla morte il 10 o 11 giugno del 323 a.C., al tramonto. Nel suo testamento commissionava la costruzione di magnifici templi in diverse città, la costruzione di un mausoleo intitolato a suo padre (che avrebbe dovuto rivaleggiare in imponenza con le piramidi egizie), la prosecuzione dell'unione fra Persiani e Greci, la conquista dei territori cartaginesi (Nord Africa, Sicilia e Spagna), l'espansione verso occidente e la costruzione di una strada in Africa lungo tutta la costa; i suoi successori ignorarono gran parte del testamento ritenendolo eccessivamente megalomane e inattuabile. Sulle cause della sua morte sono state proposte varie teorie: l'avvelenamento da parte dei figli di Antipatro o da parte della moglie Rossane, una ricaduta della malaria che aveva contratto nel 336 a.C., un eccessivo abuso di alcool durante una cena.

Ebbe due figli: Eracle di Macedonia, nato nel 327 a.C. da Barsine (figlia del satrapo Artabazus di Frigia) e Alessandro IV di Macedonia, nato nel 323 a.C. da Rossane (figlia del satrapo Ossiarte di Battriana). Alcuni storici gli attribuirono anche numerosi amanti, tra i quali l'amico Efestione e Bagoas.

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